venerdì 20 marzo 2009

Il vero razzista chi è?

> > > È razzismo non sopportare l'odore di aglio fritto? > di Francesco Lamendola - 17/10/2008 > > Fonte: Arianna Editrice [scheda fonte] > > Qualche tempo fa, lo scrittore Ferdinando Camon si chiedeva, nel > titolo di un suo articolo volutamente provocatorio, È razzismo non > sopportare i giamaicani? > > Con tutta la stima per Camon, il titolo era, forse, mal scelto; dava, > infatti, l'impressione che vi fosse, da parte sua, una pregiudiziale nei > confronti di questo o quel determinato gruppo etnico d'immigrati. Mentre, > leggendolo, appariva chiaro che il giudizio negativo non era diretto a un > gruppo etnico in quanto tale, ma ai comportamenti da esso assunti nel > contesto della nostra realtà sociale: come quello di orinare nell'atrio di > un condominio. Evidentemente, non c'è niente di male nel fatto di orinare > sulla nuda terra, in prossimità di una foresta tropicale, specialmente in > mancanza di servizi igienici e di fognature; ma, sul marmo o sulle > piastrelle di un edificio privato, la cosa cambia aspetto. > > Ebbene, a questo tipo di comportamenti alludeva Camon nel suo > articolo. > > Non che sia abitudine degli immigrati, in generale, quella di orinare > negli atri o sulle scale dei condomini; si trattava di un semplice > esempio. > La sostanza del discorso, però, era chiara: una quantità di comportamenti > minimi, inadeguati rispetto a una realtà sociale totalmente diversa da > quella di provenienza di molti immigrati, creano un quadro d'insieme > intollerabile. Perché la vita è fatta di tante, tantissime piccole cose: > ma > se parecchie di esse, pur senza essere drammatiche o clamorose, sono, > però, > francamente sgradevoli, allora la vita diventa problematica. E la cosa più > imbarazzante è che nessuno sembra averne colpa. > > Un immigrato proveniente da Paesi lontani reca con sé, ovviamente, > una > quantità di usanze e di abitudini che, legittimi e giustificati nel loro > ambiente, risultano incongrui, fastidiosi o pesantemente molesti, al di > fuori di esso. > > Ora, rendere reciprocamente accettabili le abitudini tra inquilini di > uno stesso condominio, o di una stessa strada, o di uno stesso quartiere, > è > cosa che richiede pazienza e disponibilità a confrontarsi con l'altro, > eventualmente modificando qualcosa da parte di ciascuno; ma non è sempre > facile, nemmeno fra membri di una stessa comunità. > > Quando, poi, le comunità sono dieci, venti o trenta, ciascuna > diversa > l'una dall'altra; e quando queste trenta comunità si inseriscono > bruscamente, a volte traumaticamente, in un tessuto sociale già in > precario > equilibrio, se non altro, per il sovrappopolamento e il degrado di molte > periferie urbane: allora l'effetto è semplicemente devastante. > > E a pagare il prezzo più alto sono sempre le fasce sociali più > deboli. > Quelle che abitano, appunto, nei casermoni di cemento delle periferie > urbane > o nei palazzi fatiscenti dei centri storici in via di degrado; e le > persone > più deboli, in particolare gli anziani che non dispongono di > un'automobile, > che vanno a fare la spesa nei negozi sotto casa; che vivono, con fatica, > di > una striminzita pensione e le vacanze non sanno neanche cosa siano. > > I microcomportamenti di molti immigrati costituiscono un fattore di > forte disagio per quelle fasce sociali e per quelle categorie di persone > che > non vivono nei quartieri residenziali in collina, circondati dal verde e > punteggiati di ville con tre o quattro tra fuoristrada e auto sportive nel > garage; che non possono sottrarsi agli aspetti sgradevoli della > promiscuità > e che già vivono con disagio la loro condizione di ceto medio in via di > proletarizzazione. > > Facciamo un esempio terra terra. > > In una sera di agosto, dopo una giornata torrida e afosa, un > pensionato o una pensionata si affacciano al balcone per godersi un poco > qualche refolo di venticello fresco. La città si è svuotata, parenti e > conoscenti sono in ferie, chissà dove; anche la maggior parte dei negozi > sono chiusi, e trovare una farmacia aperta è un'impresa quasi disperata. > Alla televisione, tanto per cambiare, non fanno niente di niente: gli > spettacoli decenti non si sprecano per quei quattro disgraziati che > restano > a casa; né la Rai, né le televisioni private hanno voglia d'impegnarsi per > degli indici d'ascolto così bassi. Non si degnano neppure di mandare in > onda, per la decima volta, qualche classico di Hollywood come La gatta sul > tetto che scotta o il solito western con John Wayne. > > Dunque, il nostro pensionato o la nostra pensionata, che non > possiedono un condizionatore d'aria perché costa troppo, dopo una giornata > torrida e frustrante, si affacciano al balcone per rianimarsi con un poco > di > aria fresca. Ma ecco che un fortissimo odore di aglio fritto sale dalle > finestre aperte degli immigrati asiatici del piano di sotto; un odore che > prende alla gola e che, nella nostra cultura alimentare, è percepito come > repellente, per quanto possa piacere - ed evidentemente piace - in altri > contesti culturali. > > È inutile dire che l'unica soluzione è una pronta ritirata. Addio > venticello fresco della sera! Ma non basta nemmeno rifugiarsi in casa: > quell'odore entra dentro, s'insinua dappertutto: bisogna anche chiudere > tutte le finestre, ermeticamente. E andare a letto inzuppati di sudore, > sapendo che non si chiuderà occhio e che si conteranno le ore suonate dal > vicino campanile, una dopo l'altra, fino alle prime luci dell'alba. > > Ora, poniamo che l'odore di aglio fritto non si sprigioni solo alla > sera, ma che ristagni ventiquattro ore su ventiquattro in tutto il > cortile, > in tutta la via. > > Poniamo che una sfrenata musica etnica, a tutto volume, si spanda da > una finestra aperta e che aggredisca i timpani di tutto il vicinato. > > Poniamo che, sulle scale dell'ingresso comune, un gruppo di africani > se ne stia seduto quasi in permanenza a fumare e chiacchierare, osservando > quelli che passano e costringendoli a fare la gimcana per arrivare fino al > portone. > > Poniamo che ciò si prolunghi anche dopo cena; e che, col favore del > buio, qualcuno ne approfitti per sgattaiolare sotto l'albero e fare pipì, > senza prendersi il disturbo di salire a casa propria. > > Poniamo che l'albanese del terzo piano, che non ha il garage, > posteggi > la sua auto, ogni giorno che Dio manda, proprio davanti al garage del > vicino, incurante di tutte le preghiere e le richieste di lasciar libero > il > passaggio. > > E poniamo che due famiglie marocchine, che abitano l'una al secondo e > l'altra al terzo piano, abbiano l'abitudine di chiacchierare attraverso le > rispettive terrazze, magari fino a tarda sera, ridendo e parlando ad alta > voce, quando i nostri pensionati avrebbero voglia di riposare; oppure che > stendano le lenzuola ad asciugare proprio davanti alle finestre di quelli > che abitano sotto, lasciandole penzolare fino a sfiorarne la ringhiera e > togliendo la luce e la visuale. > > Come si vede, quasi nessuno dei comportamenti che abbiamo descritto > si > può qualificare come illecito - fatte salve le norme del regolamento > condominiale - e, tanto meno, come illegale. Ma ciascuno di essi è > molesto, > in misura maggiore o minore; e, sommandoli tutti insieme, ne risulta una > situazione di autentica invivibilità per coloro che, in quella via o in > quella casa, ci sono nati e vissuti da sempre, e speravano di morirci in > santa pace, senza dover considerare un costosissimo e doloroso trasloco: > per > andarsene dove, poi? > > Perciò, non è questione di giamaicani, di senegalesi o di romeni; è > questione di abitudini. > > Non s'impara a rispettare le abitudini altrui da un giorno all'altro; > forse non lo si impara affatto, se non si ha neppure la percezione di fare > qualcosa di improprio o di sbagliato. > > Non s'impara a fare la fila in un ufficio postale, se si è convinti > che, sfoderando un certo grado di aggressività, sia possibile arrivare > subito allo sportello. Non s'impara a parcheggiare adeguatamente la > propria > automobile, se il vicino, per paura, subisce in silenzio. Non s'impara > nemmeno a far pipì a casa propria e non nel giardinetto sotto casa, se > tutti > gli altri tacciono per il timore che, protestando, potrebbero essere > considerati razzisti. > > Già: razzisti. > > Razzisti perché non sopportano la somma di tutti quei > microcomportamenti che rendono loro la vita impossibile. > > E non abbiamo ancora parlato della criminalità vera e propria: né di > quella più eclatante - prostituzione, droga - né di quella a livello > minimo: i furti continui delle biciclette o dei motorini; il vandalismo > negli edifici pubblici, sui treni o sulle corriere; la sparizione dei > panni > stesi ad asciugare, dei giocattoli dei bambini rimasti in cortile, perfino > delle ciabatte di plastica lasciate sullo zerbino, fuori della porta. > > Sappiamo perfettamente che non tutti gli immigrati si comportano > così; > e sappiamo benissimo che alcuni di questi comportamenti possono > appartenere > anche allo «stile» di molti, troppi italiani. Verissimo. > > Ma il problema non si sposta di un millimetro, anzi, si aggrava. > Infatti, dobbiamo rassegnarci ad aggiungere, ai problemi in aumento della > nostra società, anche quelli di decine di microsocietà straniere, che, > spesso, non mostrano alcun desiderio di integrarsi, anzi, per dirla tutta, > neppure di rispettare le regole più elementari di buon vicinato, sia > perché > non le conoscono, sia perché nessuno le fa rispettare, ed essi ritengono > lecito qualunque comportamento? > > Noi non abbiamo nulla, ma proprio nulla, né contro i Giamaicani, né > contro alcun altro popolo che vive sulla terra del buon Dio. Tutti > meritano > rispetto, comprensione e benevolenza; e nessun popolo può dirsi superiore > a > un altro. > > Da ciò, tuttavia, non discende che l'Italia o l'Europa possano > diventare, nel giro di pochissimi anni, il luogo in cui dobbiamo farci > piacere per forza l'odore di aglio fritto, anche se ci dà il voltastomaco; > che dobbiamo assuefarci alla musica araba suonata a tutto volume, anche > nelle ore del riposo; che dobbiamo lasciarci fregare la bicicletta sotto > casa, consolandoci col pensiero che qualcun altro, poveretto, forse ne > aveva > più bisogno di noi. O che dobbiamo considerare normale il fatto che, > nell'appartamento accanto, vivano e dormano almeno quattordici cinesi non > denunciati all'anagrafe, mentre, per un comportamento anche assai meno > grave > da parte di una famiglia italiana, scatterebbero subito le sanzioni > previste dalla legge. > > Ancora, si dirà che aprirsi alle abitudini diverse dalle proprie è un > fatto culturalmente positivo; che allarga gli orizzonti; che arricchisce > il > nostro bagaglio di esperienze. Ma chi parla così gioca un po' sporco, > perché > non precisa affatto che cosa si intenda esattamente per «aprisi alle > abitudini diverse dalle proprie». Accettare le pozzanghere e il fetore di > orina sulle scale; accettare la radio a tutto volume; accettare l'auto in > sosta davanti al proprio garage: è questo che s'intende; sono queste le > esperienze che arricchiscono, sprovincializzano ed aprono la mente? > > E poi, si dimentica che le esperienze che arricchiscono sono quelle > che vengono scelte liberamente; oppure quelle che vengono subite, ma per > opera della natura (ad esempio, una lunga malattia); non quelle che i > nostri > simili c'impongono con prepotenza. Questo genere di esperienze, nella > stragrande maggioranza dei casi, producono soltanto frustrazione, amarezza > e > risentimento. Non producono un ampliamento della coscienza, ma un > restringimento; fanno venire a galla la parte meno bella di noi stessi. > Non > tutti possono avere la serenità olimpica di un mistico. La maggioranza > delle > persone reagisce male alle prepotenze, cioè reagisce incattivendosi. > > I nostri uomini politici lo sanno, o dovrebbero saperlo. Certo, nelle > loro ville in collina, con le auto blu e il biglietto aero gratuito; con > le > ferie prenotate dalle Maldive o a Puerto Rico; con la clinica americana in > caso di problemi di salute (o, semplicemente, di estetica), loro non > immaginano nemmeno cosa voglia dire vivere in un casermone con il sessanta > o > il settanta per cento di immigrati, o in un palazzo fatiscente del centro > in > degrado, dove si parla solo bengali, brasiliano o senegalese, e dove il > cortile e le scale sono impregnate in permanenza dell'odore di aglio > fritto. > Perciò predicano la virtù della tolleranza, tuonano contro il razzismo, > pontificano sulle incomparabili bellezze della società multietnica. Tanto, > non gli costa niente. > > Però, dovrebbero sapere ugualmente che le situazioni di promiscuità > con gruppi umani dalle abitudini molto diverse dalle proprie sono causa di > forte disagio: un disagio obiettivo, che non ha nulla di pretestuoso o di > artificiale. Un disagio autentico, cui non si rimedia con le belle parole. > > E dovrebbero sapere che anche il popolo più mite e tollerante di > questo mondo rischia di diventare razzista, un po' alla volta, se viene > costretto a vivere in condizioni esasperanti. > > Farebbero bene a pensarci: in fondo, percepiscono stipendi favolosi > per affrontare i problemi sociali: non per distribuire omelie, sermoni e > predicozzi tanto dolciastri, quanto insulsi. > > L'esperienza insegna che, quando un problema sociale viene ignorato, > finisce per andare in cancrena. > > Dopo di che, ci vorrebbero dei maghi per risolverlo; non dei > politici. > > E i nostri politici, di magico, hanno solo la capacità di mangiarsi > il > denaro pubblico e di trovare il modo, ad ogni nuova legislatura, di > aumentarsi ulteriormente lo stipendio. > > > Tante altre notizie su www.ariannaeditrice.it > > > > Anteprima allegati: back.gif

domenica 15 marzo 2009

Anteprima Maramao 2

Abbiamo cominciato

a

girare la seconda parte di "Maramao City la genesi della lotta alla zanzara tigre"

Ecco qui una piccola anteprima...

martedì 3 marzo 2009

Lotta alla zanzara tigre prima parte

La zanzara tigre deposita le sue luride uova

in pochi centimetri d'acqua stagnante

tipo i sottovasi che sono una sorta di allevamento

per queste bestiacce,

le uova si schiudono dopo soli 3-4-giorni

la zanzara tigre "a differenza della nostrana

che colpisce solo in certe fasce della sera"

non teme il sole,è assolutamente silenziosa

e può colpire anche fino a dieci volte in poco tempo

trasmettendo così potenziali malattie

tra una persona oppure un animale.

la zanzara tigre vive e prolifica in un breve raggio d'azione

per cui è molto difficile trovarla in campagna

ma facilmente si può incontrare nei quartieri residenziali

dove ci sono giardini o laghetti

si consiglia di tenere in questi dei pesci

oppure delle tartarughe d'acqua che si cibano delle uova.