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> È razzismo non sopportare l'odore di aglio fritto?
> di Francesco Lamendola - 17/10/2008
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> Fonte: Arianna Editrice [scheda fonte]
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> Qualche tempo fa, lo scrittore Ferdinando Camon si chiedeva, nel
> titolo di un suo articolo volutamente provocatorio, È razzismo non
> sopportare i giamaicani?
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> Con tutta la stima per Camon, il titolo era, forse, mal scelto; dava,
> infatti, l'impressione che vi fosse, da parte sua, una pregiudiziale nei
> confronti di questo o quel determinato gruppo etnico d'immigrati. Mentre,
> leggendolo, appariva chiaro che il giudizio negativo non era diretto a un
> gruppo etnico in quanto tale, ma ai comportamenti da esso assunti nel
> contesto della nostra realtà sociale: come quello di orinare nell'atrio di
> un condominio. Evidentemente, non c'è niente di male nel fatto di orinare
> sulla nuda terra, in prossimità di una foresta tropicale, specialmente in
> mancanza di servizi igienici e di fognature; ma, sul marmo o sulle
> piastrelle di un edificio privato, la cosa cambia aspetto.
>
> Ebbene, a questo tipo di comportamenti alludeva Camon nel suo
> articolo.
>
> Non che sia abitudine degli immigrati, in generale, quella di orinare
> negli atri o sulle scale dei condomini; si trattava di un semplice
> esempio.
> La sostanza del discorso, però, era chiara: una quantità di comportamenti
> minimi, inadeguati rispetto a una realtà sociale totalmente diversa da
> quella di provenienza di molti immigrati, creano un quadro d'insieme
> intollerabile. Perché la vita è fatta di tante, tantissime piccole cose:
> ma
> se parecchie di esse, pur senza essere drammatiche o clamorose, sono,
> però,
> francamente sgradevoli, allora la vita diventa problematica. E la cosa più
> imbarazzante è che nessuno sembra averne colpa.
>
> Un immigrato proveniente da Paesi lontani reca con sé, ovviamente,
> una
> quantità di usanze e di abitudini che, legittimi e giustificati nel loro
> ambiente, risultano incongrui, fastidiosi o pesantemente molesti, al di
> fuori di esso.
>
> Ora, rendere reciprocamente accettabili le abitudini tra inquilini di
> uno stesso condominio, o di una stessa strada, o di uno stesso quartiere,
> è
> cosa che richiede pazienza e disponibilità a confrontarsi con l'altro,
> eventualmente modificando qualcosa da parte di ciascuno; ma non è sempre
> facile, nemmeno fra membri di una stessa comunità.
>
> Quando, poi, le comunità sono dieci, venti o trenta, ciascuna
> diversa
> l'una dall'altra; e quando queste trenta comunità si inseriscono
> bruscamente, a volte traumaticamente, in un tessuto sociale già in
> precario
> equilibrio, se non altro, per il sovrappopolamento e il degrado di molte
> periferie urbane: allora l'effetto è semplicemente devastante.
>
> E a pagare il prezzo più alto sono sempre le fasce sociali più
> deboli.
> Quelle che abitano, appunto, nei casermoni di cemento delle periferie
> urbane
> o nei palazzi fatiscenti dei centri storici in via di degrado; e le
> persone
> più deboli, in particolare gli anziani che non dispongono di
> un'automobile,
> che vanno a fare la spesa nei negozi sotto casa; che vivono, con fatica,
> di
> una striminzita pensione e le vacanze non sanno neanche cosa siano.
>
> I microcomportamenti di molti immigrati costituiscono un fattore di
> forte disagio per quelle fasce sociali e per quelle categorie di persone
> che
> non vivono nei quartieri residenziali in collina, circondati dal verde e
> punteggiati di ville con tre o quattro tra fuoristrada e auto sportive nel
> garage; che non possono sottrarsi agli aspetti sgradevoli della
> promiscuità
> e che già vivono con disagio la loro condizione di ceto medio in via di
> proletarizzazione.
>
> Facciamo un esempio terra terra.
>
> In una sera di agosto, dopo una giornata torrida e afosa, un
> pensionato o una pensionata si affacciano al balcone per godersi un poco
> qualche refolo di venticello fresco. La città si è svuotata, parenti e
> conoscenti sono in ferie, chissà dove; anche la maggior parte dei negozi
> sono chiusi, e trovare una farmacia aperta è un'impresa quasi disperata.
> Alla televisione, tanto per cambiare, non fanno niente di niente: gli
> spettacoli decenti non si sprecano per quei quattro disgraziati che
> restano
> a casa; né la Rai, né le televisioni private hanno voglia d'impegnarsi per
> degli indici d'ascolto così bassi. Non si degnano neppure di mandare in
> onda, per la decima volta, qualche classico di Hollywood come La gatta sul
> tetto che scotta o il solito western con John Wayne.
>
> Dunque, il nostro pensionato o la nostra pensionata, che non
> possiedono un condizionatore d'aria perché costa troppo, dopo una giornata
> torrida e frustrante, si affacciano al balcone per rianimarsi con un poco
> di
> aria fresca. Ma ecco che un fortissimo odore di aglio fritto sale dalle
> finestre aperte degli immigrati asiatici del piano di sotto; un odore che
> prende alla gola e che, nella nostra cultura alimentare, è percepito come
> repellente, per quanto possa piacere - ed evidentemente piace - in altri
> contesti culturali.
>
> È inutile dire che l'unica soluzione è una pronta ritirata. Addio
> venticello fresco della sera! Ma non basta nemmeno rifugiarsi in casa:
> quell'odore entra dentro, s'insinua dappertutto: bisogna anche chiudere
> tutte le finestre, ermeticamente. E andare a letto inzuppati di sudore,
> sapendo che non si chiuderà occhio e che si conteranno le ore suonate dal
> vicino campanile, una dopo l'altra, fino alle prime luci dell'alba.
>
> Ora, poniamo che l'odore di aglio fritto non si sprigioni solo alla
> sera, ma che ristagni ventiquattro ore su ventiquattro in tutto il
> cortile,
> in tutta la via.
>
> Poniamo che una sfrenata musica etnica, a tutto volume, si spanda da
> una finestra aperta e che aggredisca i timpani di tutto il vicinato.
>
> Poniamo che, sulle scale dell'ingresso comune, un gruppo di africani
> se ne stia seduto quasi in permanenza a fumare e chiacchierare, osservando
> quelli che passano e costringendoli a fare la gimcana per arrivare fino al
> portone.
>
> Poniamo che ciò si prolunghi anche dopo cena; e che, col favore del
> buio, qualcuno ne approfitti per sgattaiolare sotto l'albero e fare pipì,
> senza prendersi il disturbo di salire a casa propria.
>
> Poniamo che l'albanese del terzo piano, che non ha il garage,
> posteggi
> la sua auto, ogni giorno che Dio manda, proprio davanti al garage del
> vicino, incurante di tutte le preghiere e le richieste di lasciar libero
> il
> passaggio.
>
> E poniamo che due famiglie marocchine, che abitano l'una al secondo e
> l'altra al terzo piano, abbiano l'abitudine di chiacchierare attraverso le
> rispettive terrazze, magari fino a tarda sera, ridendo e parlando ad alta
> voce, quando i nostri pensionati avrebbero voglia di riposare; oppure che
> stendano le lenzuola ad asciugare proprio davanti alle finestre di quelli
> che abitano sotto, lasciandole penzolare fino a sfiorarne la ringhiera e
> togliendo la luce e la visuale.
>
> Come si vede, quasi nessuno dei comportamenti che abbiamo descritto
> si
> può qualificare come illecito - fatte salve le norme del regolamento
> condominiale - e, tanto meno, come illegale. Ma ciascuno di essi è
> molesto,
> in misura maggiore o minore; e, sommandoli tutti insieme, ne risulta una
> situazione di autentica invivibilità per coloro che, in quella via o in
> quella casa, ci sono nati e vissuti da sempre, e speravano di morirci in
> santa pace, senza dover considerare un costosissimo e doloroso trasloco:
> per
> andarsene dove, poi?
>
> Perciò, non è questione di giamaicani, di senegalesi o di romeni; è
> questione di abitudini.
>
> Non s'impara a rispettare le abitudini altrui da un giorno all'altro;
> forse non lo si impara affatto, se non si ha neppure la percezione di fare
> qualcosa di improprio o di sbagliato.
>
> Non s'impara a fare la fila in un ufficio postale, se si è convinti
> che, sfoderando un certo grado di aggressività, sia possibile arrivare
> subito allo sportello. Non s'impara a parcheggiare adeguatamente la
> propria
> automobile, se il vicino, per paura, subisce in silenzio. Non s'impara
> nemmeno a far pipì a casa propria e non nel giardinetto sotto casa, se
> tutti
> gli altri tacciono per il timore che, protestando, potrebbero essere
> considerati razzisti.
>
> Già: razzisti.
>
> Razzisti perché non sopportano la somma di tutti quei
> microcomportamenti che rendono loro la vita impossibile.
>
> E non abbiamo ancora parlato della criminalità vera e propria: né di
> quella più eclatante - prostituzione, droga - né di quella a livello
> minimo: i furti continui delle biciclette o dei motorini; il vandalismo
> negli edifici pubblici, sui treni o sulle corriere; la sparizione dei
> panni
> stesi ad asciugare, dei giocattoli dei bambini rimasti in cortile, perfino
> delle ciabatte di plastica lasciate sullo zerbino, fuori della porta.
>
> Sappiamo perfettamente che non tutti gli immigrati si comportano
> così;
> e sappiamo benissimo che alcuni di questi comportamenti possono
> appartenere
> anche allo «stile» di molti, troppi italiani. Verissimo.
>
> Ma il problema non si sposta di un millimetro, anzi, si aggrava.
> Infatti, dobbiamo rassegnarci ad aggiungere, ai problemi in aumento della
> nostra società, anche quelli di decine di microsocietà straniere, che,
> spesso, non mostrano alcun desiderio di integrarsi, anzi, per dirla tutta,
> neppure di rispettare le regole più elementari di buon vicinato, sia
> perché
> non le conoscono, sia perché nessuno le fa rispettare, ed essi ritengono
> lecito qualunque comportamento?
>
> Noi non abbiamo nulla, ma proprio nulla, né contro i Giamaicani, né
> contro alcun altro popolo che vive sulla terra del buon Dio. Tutti
> meritano
> rispetto, comprensione e benevolenza; e nessun popolo può dirsi superiore
> a
> un altro.
>
> Da ciò, tuttavia, non discende che l'Italia o l'Europa possano
> diventare, nel giro di pochissimi anni, il luogo in cui dobbiamo farci
> piacere per forza l'odore di aglio fritto, anche se ci dà il voltastomaco;
> che dobbiamo assuefarci alla musica araba suonata a tutto volume, anche
> nelle ore del riposo; che dobbiamo lasciarci fregare la bicicletta sotto
> casa, consolandoci col pensiero che qualcun altro, poveretto, forse ne
> aveva
> più bisogno di noi. O che dobbiamo considerare normale il fatto che,
> nell'appartamento accanto, vivano e dormano almeno quattordici cinesi non
> denunciati all'anagrafe, mentre, per un comportamento anche assai meno
> grave
> da parte di una famiglia italiana, scatterebbero subito le sanzioni
> previste dalla legge.
>
> Ancora, si dirà che aprirsi alle abitudini diverse dalle proprie è un
> fatto culturalmente positivo; che allarga gli orizzonti; che arricchisce
> il
> nostro bagaglio di esperienze. Ma chi parla così gioca un po' sporco,
> perché
> non precisa affatto che cosa si intenda esattamente per «aprisi alle
> abitudini diverse dalle proprie». Accettare le pozzanghere e il fetore di
> orina sulle scale; accettare la radio a tutto volume; accettare l'auto in
> sosta davanti al proprio garage: è questo che s'intende; sono queste le
> esperienze che arricchiscono, sprovincializzano ed aprono la mente?
>
> E poi, si dimentica che le esperienze che arricchiscono sono quelle
> che vengono scelte liberamente; oppure quelle che vengono subite, ma per
> opera della natura (ad esempio, una lunga malattia); non quelle che i
> nostri
> simili c'impongono con prepotenza. Questo genere di esperienze, nella
> stragrande maggioranza dei casi, producono soltanto frustrazione, amarezza
> e
> risentimento. Non producono un ampliamento della coscienza, ma un
> restringimento; fanno venire a galla la parte meno bella di noi stessi.
> Non
> tutti possono avere la serenità olimpica di un mistico. La maggioranza
> delle
> persone reagisce male alle prepotenze, cioè reagisce incattivendosi.
>
> I nostri uomini politici lo sanno, o dovrebbero saperlo. Certo, nelle
> loro ville in collina, con le auto blu e il biglietto aero gratuito; con
> le
> ferie prenotate dalle Maldive o a Puerto Rico; con la clinica americana in
> caso di problemi di salute (o, semplicemente, di estetica), loro non
> immaginano nemmeno cosa voglia dire vivere in un casermone con il sessanta
> o
> il settanta per cento di immigrati, o in un palazzo fatiscente del centro
> in
> degrado, dove si parla solo bengali, brasiliano o senegalese, e dove il
> cortile e le scale sono impregnate in permanenza dell'odore di aglio
> fritto.
> Perciò predicano la virtù della tolleranza, tuonano contro il razzismo,
> pontificano sulle incomparabili bellezze della società multietnica. Tanto,
> non gli costa niente.
>
> Però, dovrebbero sapere ugualmente che le situazioni di promiscuità
> con gruppi umani dalle abitudini molto diverse dalle proprie sono causa di
> forte disagio: un disagio obiettivo, che non ha nulla di pretestuoso o di
> artificiale. Un disagio autentico, cui non si rimedia con le belle parole.
>
> E dovrebbero sapere che anche il popolo più mite e tollerante di
> questo mondo rischia di diventare razzista, un po' alla volta, se viene
> costretto a vivere in condizioni esasperanti.
>
> Farebbero bene a pensarci: in fondo, percepiscono stipendi favolosi
> per affrontare i problemi sociali: non per distribuire omelie, sermoni e
> predicozzi tanto dolciastri, quanto insulsi.
>
> L'esperienza insegna che, quando un problema sociale viene ignorato,
> finisce per andare in cancrena.
>
> Dopo di che, ci vorrebbero dei maghi per risolverlo; non dei
> politici.
>
> E i nostri politici, di magico, hanno solo la capacità di mangiarsi
> il
> denaro pubblico e di trovare il modo, ad ogni nuova legislatura, di
> aumentarsi ulteriormente lo stipendio.
>
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